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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Numero 35, anno IX, del 20/07/2022

L’irresistibile bellezza dell’errore e quella luna quasi gentile tra le nuvole
Un dialogo tra Anna D’Andrea e Giovanni Di Stefano

Giovanni Di Stefano. Errori Significanti. Opere dal 1983 al 2022
Alla Galleria 1/9unosunove di Roma dal 19 maggio al 16 luglio 2022

AD – Nel 1977 Sergio Lombardo apre il suo studio e lo chiama Jartrakor, è uno spazio di ricerca sperimentale senza scopi commerciali, dove “dal 1979 si precisa un sodalizio” (Paola Ferraris, 2004) di persone provenienti da differenti campi del sapere, o meglio insoddisfatte delle separazioni dei saperi, impegnate con sano scetticismo a elaborare una teoria e una prassi dell’arte fondata sul concetto di evento, definito come “tutto ciò su cui non c’è accordo percettivo” (Sergio Lombardo, 2002) ovvero a progettare in modo condiviso ipotesi e costruire condizioni affinché uno stimolo, in relazione alle risposte che produce, possa dirsi evento e misurarne la saturazione nel tempo. In anni successivi e in forma estemporanea, ho avuto modo di frequentarne le attività e conservo memoria di quel sentirsi parte, l’assiduità degli incontri, delle discussioni, quel fare gruppo senza riserve e nonostante tutto, quel vedersi per stare insieme e scambiarsi le idee, come adolescenti o compagni di vita e alcuni lo sono stati di fatto. Ce ne vuoi parlare? 

GDS – Jatrakor non era solo il luogo dove esporre e – in parte – realizzare, i nostri esperimenti, ma anche uno spazio dove discutere su i problemi dell’arte. Lo facevamo pubblicamente, ma anche nelle nostre riunioni, nelle quali, a volte, presentavamo al gruppo, ognuno le proprie ricerche. Queste venivano analizzate da tutti noi, anche per verificarne l’efficacia e la corrispondenza con la teoria eventualista. Alcune mie idee si sono spesso arricchite del contributo decisivo di altri membri del gruppo. Ricordo che avevo la sensazione di far parte di un piccolo insieme di rivoluzionari che si batteva, con le idee, contro le grandi gallerie. Allora le correnti artistiche più accreditate erano il “neo-espressionismo“ e la cosiddetta “pittura colta“. 

Il mio primo contatto con la teoria e con il gruppo eventualista è avvenuto leggendo il primo numero della Rivista di Psicologia dell’Arte’. In particolare mi aveva colpito un articolo di Sergio Lombardo, che conteneva la soluzione ad un problema che mi occupava molto in quel periodo. 

Ero studente di pittura all’ Accademia di Belle Arti e cercavo di realizzare delle opere spontanee in pittura. Prima attraverso un’ arte di tipo informale, poi con lavori vicini alla body art. Con l’andare del tempo mi resi conto però che il risultato era, al contrario di quanto desiderato, artificiale. Recitavo delle emozioni. La soluzione, che proponeva Sergio in quel testo, era quella di utilizzare “un compito insignificante e ripetitivo” (Lombardo, 1979) ,  simile a quella che consigliava Watzlawick nel suo “Il linguaggio del cambiamento”. 

Se lo sforzo di essere spontanei genera azioni non autentiche, l’intervento risolutivo consiste nel progettare l’esecuzione nei minimi particolari, attenersi meccanicamente al progetto, tentando di non esprimere nulla. Gli errori che si manifesteranno saranno espressione spontanea dell’esecutore. Così sono nati i miei “Esperimenti di Pittura Cieca”. Dico questo non solo per raccontare come – e perché – mi sono avvicinato all’ eventualismo, ma anche per spiegare perché le discussioni, di cui parli, avevano un’importanza fondamentale per noi.

AD – Sei a pieno titolo tra coloro che praticano l’astinenza espressiva (S. Lombardo, 1987), assunto a fondamento dell’intero operato del teorico dell’Eventualismo, fin dai Monocromi (Lombardo, 1958-61) degli esordi, eppure nella foto che ti ritrae bendato mentre svolgi un compito meramente esecutivo, semplice e banale, ossia Esperimento di pittura cieca con cerchio (1984), non vedo la compostezza svogliata dell’impiegato del catasto, ma la furia iconoclasta della pittura d’azione, che ci mette tutto il corpo dentro, comprese quelle eccedenze fisiologicamente non riconducibili alla perfezione ideale della forma astratta. Dici che sono solo i postumi della mia de/formazione di storica dell’arte? 
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Giovanni Di Stefano, Esperimento di pittura cieca con cerchio – 13.01.1984 photo credits: Archivio Centro Studi Jartrakor

GDS – In realtà ricordo che quella sera, del 13 Gennaio del 1984, non ero  preso dalla furia della pittura d’azione, bensì concentrato nel compito da eseguire. Dovevo riempire, lavorando ad occhi bendati, un cerchio del diametro di circa 90 cm (se ricordo bene), che era disegnato al centro di un foglio di carta quadrato, di 270 cm di lato. Il tentativo era quello di coprire completamente l’intera superficie del cerchio, senza oltrepassarne la linea nera della circonferenza. Inoltre, a questo compito – già molto complesso – era stata aggiunta una difficoltà in più: il tempo a disposizione è stato estratto a sorte – mentre io ero bendato – tra sei diversi, che andavano da 30 a 105 minuti.  

La mia più grande preoccupazione era quella di non aver abbastanza tempo per riuscire a coprire l’intera superficie del cerchio. 

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Giovanni Di Stefano, Esperimento di pittura cieca con cerchio – 13/01/1984, grafite e pennarello su carta, 270 x 270 cm, photo credits: Giorgio Benni

Quando Sergio, dopo aver lanciato il dado, e aver scritto sul muro il tempo a disposizione (1 ora e 45 minuti), mi diede il segnale di via, iniziai con molta energia, avendo paura di avere solo 30 minuti. Con il risultato che dopo pochi minuti, anche a causa del movimento frenetico, avevo perso l’orientamento. Mi resi conto che ero uscito dalla circonferenza. La fatica, la delusione, erano emozioni vere, come il disorientamento spazio temporale. Quei processi interiori, come l’immagine finale, risultato di quel fitto intreccio di segni, non volevano dire niente. Proprio per questo comunicavano, spontaneamente, qualcosa.
AD – Mi appello ai principi della Teoria eventualista che riconosce un ruolo attivo a chi osserva l’opera/stimolo e, proseguendo con le mie divagazioni da storica dell’arte, vedo assonanze con Strutturazione pulsante (Colombo, 1959), Superficie bianca (Castellani, 1959), Linea (Manzoni, 1959), Concetto spaziale (Fontana, 1949) quello coi buchini nella collezione della Galleria Nazionale per intenderci. Altri scherzi di quella pigrizia percettiva che ci porta a vedere solo ciò che è già nei nostri occhi? 
GDS – Ricordo che nel 1979, quindi prima di realizzare i miei primi Esperimenti di Pittura Cieca, che sono del 1982, ho visto, la Strutturazione pulsante di Colombo. Mi era piaciuto, ma non credo mi abbia influenzato. Stimo tutti gli artisti che citi, ma è difficile dire esattamente se – e quali – opere abbiano in qualche modo determinato la nascita di qualche mia idea. 
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Giovanni Di Stefano, +, 2014, carta e cornice, 42,2 x 42,2 cm, photo credits: Giorgio Benni

Penso che la versione bianca della mia serie degli Strappi, abbia un debito con i Concetti Spaziali di Fontana (più i tagli che i buchi) o con gli Achrome di Manzoni, ma ancora di più vedo un collegamento con i monocromi di Sergio Lombardo, anzi più esattamente con un quadro di quella serie: “Nero 56”, nel quale i fogli di carta, incollati su la superficie della tela, sono strappati. 

Posso dire che se si analizzano con attenzione i lavori esposti in questa mia mostra, tutti derivano – in qualche modo – da “Nero 56” di Sergio. I Monocromi di Lombardo vogliono essere quadri senza fantasia, senza espressione, senza ispirazione. Vogliono essere oggetti non artistici, pongono quindi un problema di interpretazione. Anche perché le immagini risultanti hanno, nonostante le intenzioni, un grande fascino: è affascinante lo schema logico uniforme che costituisce l’opera, l’ossessiva ripetizione del modulo, ma anche la sua negazione: gli errori.

I miei lavori, sviluppano, a modo mio, proprio questa scoperta di Sergio: l’errore come espressione spontanea. Quindi si possono, legittimamente, notare delle analogie formali, tra i miei quadri e le opere degli artisti che citi, non bisogna però dimenticare le differenze teoriche e di metodo. 

AD – Anche senza riferimenti a padri fondatori altri, nelle sale della mostra si respira il rigore minimalista della ricerca scientifica, la struttura logica della disciplina matematica, che esclude orpelli e fronzoli e, laddove privo di funzione significativa, anche il colore come elemento esornativo non pertinente, una pulizia formale mai fine a se stessa ma perfettamente attinente e coerente negli anni con quella definizione di “artista ascetico” la cui ricerca è centrata sulle “sole risorse del metodo” (Lombardo, 1984). Nel film dArts (2015) girato in tedesco e sottotitolato in italiano, sei protagonista nella reiterazione della sublimazione ludica del gesto di guerra per antonomasia, ossia quello di scagliare una freccia, colpisce la caparbietà di continuare a crederci e ricominciare ogni volta di nuovo, con la forza intatta della convinzione, senza lasciarsi dissuadere dall’errore commesso, anzi collocandolo al vertice per riconoscergli tutta l’attenzione che merita, una sorta di training motivazionale per tutti noi, naturalmente privi di quella fastidiosissima presunzione di non sbagliare mai. Ci racconti in proposito? 
Se riscontrate difficoltà nella visione del video, guardatelo su YouTube


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Giovanni Di Stefano, Esperimenti di pittura cieca – 08/03/1983 – Carolyn Christov-Bakargiev, 1983, grafite e pennarello su carta, 100 x 100 cm, photo credits: Giorgio Benni

GDS – I primi lavori di Pittura Cieca non sono stati realizzati solo da me, mi interessava di più coinvolgere altre persone nell’esecuzione degli esperimenti, così parteciparono amici e visitatori del centro studi.

In seguito, nei miei successivi Esperimenti di Pittura Cieca con Laser, mi sono allontanato dalla materialità della grafite e modificato il compito riducendo a un punto lo stimolo. 

L’esecutore doveva infatti trovare, lavorando in una stanza buia, un “punto“ su un foglio di carta fotosensibile, con l‘ausilio di un raggio laser.

Il punto è l’elemento minimo del disegno che entra in relazione con la superficie e la modifica. 

Da questo lavoro è derivato poi il lavoro con i dardi, nel quale l’esecutore deve cercare di colpire il centro di una superficie. Mentre nei lavori con il laser, l‘esecuzione al buio ricorda la deprivazione visiva utilizzata nei lavori di Pittura Cieca precedenti, nel caso dei dardi questo aspetto non è presente. I quadri con i dardi si ispirano alla Pittura Stocastica di Lombardo, ma la collocazione dei punti che modificano la superficie, nel mio caso, invece che essere estratta a sorte, viene decisa dal lancio di un dardo. È quindi, anche qui presente, l’elemento dell’errore umano, come atto creativo involontario, e l’azione, il movimento, il corpo. 

La tenacia che hai notato nel film dArts, è la stessa che ho dimostrato nei grandi lavori di Pittura Cieca. Ho cercato di trovare una soluzione a un problema: superare il paradosso della spontaneità e l’ho fatto adottando un metodo paradossale a sua volta, progettando azioni involontarie. Se qualcuno vede un messaggio nel fatto di mostrare l’errore come esempio di bellezza, la cosa non mi disturba affatto, anzi.

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Giovanni Di Stefano, dArts, 2015, acrilico su legno, due dardi, 50 scatole di legno e calamite, 100 x 200 cm, photo credits: Giorgio Benni

AD – Lo sguardo riflette negli spazi ampi della galleria mentre ci prendiamo il tempo necessario a percorrere quattro decenni di lavoro, verso un progressivo raffreddamento che asciuga ogni residualità materica o supposta tale, tra un’idea di pianoforte appoggiato all’insù che ci dice dell’impercettibile variabilità delle dimensioni, griglie sempre meno ortogonali con spazi vuoti da esperire a cura di qualcun altro, il primo Esperimento di pittura cieca (1983) allestito a parte come prologo o epilogo, dardi a latere che colpiscono comunque al cuore e disegnano sfaccettature in movimento. Una “sorta di mistica della negazione” (ibidem) che procede per azzeramenti, tabulae rasae e Strappi (2007) vari, gesti distruttivi che si compongono in nuove consonanze da ascoltare al cospetto degli stessi, perché non si tratta di due opere che usano linguaggi significanti diversi, dando anche un volto all’esecutore in appalto dell’azione, bensì parti di una stessa opera, data per simultaneità sinestetica di esito e processo. Il riferimento alla Musica visiva di ambito Fluxus è solo casuale? 
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Giovanni Di Stefano, Linee, 2009, acrilico su MDF, dimensioni variabili, 200 x 200 x 2 cm, 18 moduli, photo credits: Giorgio Benni

GDS – Immagino che quando parli di pianoforte poggiato all’insù ti riferisca all’opera “Linee”, con il suo alternarsi di elementi neri (le aste in MDF dipinte di nero), e lo sfondo bianco del muro, spazio tra una “linea” e l’altra. A me più che un pianoforte fa pensare alle “Aste” di Lombardo. 

L’opera di Sergio però, oltre ad essere di vari colori, prevedeva la partecipazione attiva del pubblico, non esisteva un modo giusto di mettere le sue “Aste”. Il titolo del mio lavoro è “Linee”, perché volevo collegare quest’opera ai miei Esperimenti di Pittura Cieca con Linee.

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Giovanni Di Stefano, Esperimento con linee – 18/04/2018, grafite su carta, 52,5 x 42,5 cm, photo credits: Giorgio Benni

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Giovanni Di Stefano, Linee, 2009, acrilico su MDF, dimensioni variabili, 200 x 200 x 2 cm, 18 moduli.

Ci sono solo due modi di esporre quest’opera. Uno è quello che hai visto in mostra: con le assi di legno distanziate una dall’altra. L’altro è unire le aste tra l’oro, a ricomporre l’insieme che sono: un quadrato 200 x 200 cm in MDF. La metà di questo quadrato è stato tagliato, da un falegname, in dieci “linee “ verticali, che misurano 10 centimetri di larghezza. La seconda metà l’ho tagliata io, molto velocemente, con una sega elettrica, senza prendere misure e facendo un bel po’ di errori. 

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Giovanni Di Stefano, Esperimento di pittura cieca – 25/02/1983 Giancarlo Masala, 1983, collage e grafite su cartoncino, 33 x 35 cm, photo credits: Giorgio Benni

Ancora una volta si presentano insieme, come nel caso del cerchio, la precisione geometrica, e l’imperfezione, la creatività. La musica mi interessa molto, ma la vedo forse più presente nell’opera “Strappi”, anche essa in mostra. L’opera è composta da un collage e da un video nel quale si vedono quattro persone che tentano di strappare un foglio di carta in quattro parti uguali. Nel video vediamo le quattro persone contemporaneamente, i movimenti dei partecipanti, durante il montaggio, sono stati molto rallentati, per questo anche l’audio risulta alterato. La sovrapposizione degli audio crea qualcosa che mi ricorda alcuni esperimenti di musica concreta. Parlerei eventualmente più di Pierre Schaeffer che di Giuseppe Chiari.

Giovanni Di Stefano, Strappi, 2007, collage e cornici (160 x 160 cm, 16 moduli) [in basso]  e video (Durata 29′ 40″) [in alto].

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AD – Il postulato dell’arte come inciampo percettivo già di matrice surrealista, trova interessanti e insoliti sviluppi nelle pratiche di détournement  1 2 situazionista, mi sembra che il tuo lavoro contribuisca a restituire al termine abusato di Situazionismo il suo senso etimologico di azione in situ, ossia situata nello spazio e che la deprivazione visiva, all’origine del tuo percorso di ricerca, sia anche un modo per evitare di essere fagocitati dagli obbrobri della Società dello spettacolo. Correggimi se sbaglio
GDS – Come ho avuto modo di dire – anche in altra sede – l’idea di eseguire, o far eseguire, un’opera d’arte ad occhi bendati, non ha per me coscientemente una motivazione di tipo simbolico. Nasce da un approccio scettico alla risoluzione del paradosso della spontaneità. Sono però interessato a qualsiasi lettura del mio lavoro. Una volta il visitatore di una mostra, proprio quella del 1984 nel centro studi Jatrakor, giudicava provocatoria la mia Pittura Cieca. Perché, per lui, fare un’opera visiva ad occhi bendati era quasi un sacrilegio. La mostra Errori Significanti è stata presentata da tre testi: un comunicato stampa a cura di Simone Zacchini, un testo di Anna Homberg e uno di Cesare Pietroiusti. Ognuno dei tre coglie degli aspetti diversi, a volte per me sorprendenti. Vengo definito scienziato ma anche pittore e il mio lavoro viene giudicato come ironico. Per me, anche quando non sono del tutto d’accordo, ogni punto di vista è interessante. Mi dice qualcosa di più sul mio lavoro, ma anche su chi scrive.
Ringraziamo Paola Ferraris per l’apporto e Anna Homberg per la suggestione ‘quasi gentile
Luglio 2022